LA COSTA
“Lo sviluppo costiero della Puglia è vario, talora contornato da isole, o semplicemente scogli, verso mare, da laghi costieri e paludi verso terra. Queste ultime manifestazioni sono dovute sia all’alluvionamento prodotto da alcuni fiumi, sia al dissolvimento dei calcari, sia al graduale aumento del livello marino in tempi più recenti.
Laghi e paludi costiere sono per questo derivati dal mescolamento, più o meno rilevante, di acque marine con acque continentali carsiche. Molte delle aree interessate da queste manifestazioni sono state malariche per secoli ed hanno determinato, assieme alle minacce saracene, l’abbandono delle coste da parte dei pugliesi.
Ancora oggi mancano, per certi tratti, le strade costiere, nelle parti sebbene bonificate, che erano, si può dire, abbandonate da sempre. La bonifica ha interessato non solo piccole chiazze palustri ma anche ampi laghi costieri.
Canale Giancola
L’impaludamento era particolarmente intenso attorno e, soprattutto, a Sud di Brindisi.
Il porto vero e proprio di Brindisi è stato rimaneggiato a più riprese, per adattarlo a base navale, ma specialmente durante la prima guerra mondiale, in cui rappresentò in pratica l’unico porto protetto della costa italiana.
Brindisi. Prima guerra mondiale. Sbarco a Brindisi di profughi montenegrini. (Fototeca Briamo).
Brindisi. Prima guerra mondiale. Nave-Ospedale e Treno-Ospedale. (Fototeca Briamo)
Brindisi. Prima guerra mondiale. S.A.R. il principe Alessandrio di Serbia e S.E. Il vice amm. Cutinelli
Brindisi. Lapide ricordo del salvataggio dell’esercito serbo. Corone deposte dal Comune e dalle Associazioni Combattentistiche in occasione della commemorazione.
La protezione è naturale essendo l’insenatura di Brindisi un fiordo carsico (*); essa consta di un porto esterno, racchiuso tra le isole Sant’Andrea e Pedagne (a Nord e a Sud rispettivamente) e dighe, e di un porto interno articolato su due seni, lunghi rispettivamente 1 e 0,5 chilometri, entrambi dragati fino alla profondità di 10 metri.
Il porto interno comunica con l’esterno attraverso un canale, ora dragato e in parte artificiale essendo stato, in varie vicissitudini belliche che risalgono almeno all’epoca romana, interrato o chiuso con l’affondamento di navi o con altre manomissioni.
Brindisi. Il porto-medio, il Canale Pigonati e parte del porto interno. (Fototeca Briamo)
L’ampia zona a Sud-Est di Brindisi, di natura sabbio-argillosa in superficie, è solcata da qualche ruscello che scende dalla zona di Mesagne – S. Pietro Vernotico e che ha completamente impaludato la zona costiera (Capo di Torre Cavallo – Punta della Contessa – Torre S. Gennaro) fino ai tempi più recenti.
Il terreno di questa zona impinguava le sue paludi per le piogge portate dalle sciroccate del tardo – autunno, non smaltendosi l’acqua nel sottosuolo, privo di falda (**), con i permeabili calcari situati troppo in profondità sotto il livello del mare per poter operare un drenaggio.” (1)
LA PRIMA CARTOGRAFIA STORICA DELLA PUGLIA
“L’analisi cartografica relativa alla incisività di certi tratti costieri nella organizzazione economica, appare di estremo interesse.
Particolarmente valide a tale scopo sono le carte nautiche, documenti di carattere pratico derivati dalle esperienze secolari della navigazione costiera, delle distanze costiere da porto a porto, da promontorio a promontorio.
Costruite ad uso dei naviganti, le carte nautiche sottolineano (trascurando le zone d’entroterra) i caratteri degli spazi litoranei e segnano, su un reticolo di linee particolari riferite alla rosa dei venti, il contorno costiero, gli approdi, gli scogli.
Dalle carte nautiche è possibile rilevare, attraverso l’andamento di tali linee, i centri portuali della Puglia e il collegamento con i porti della sponda opposta e con quelli del vicino oriente.
Estremamente importante a tal proposito è la carta nautica di Pietro Vesconte, la più antica carta nautica firmata e datata (1311). Questa carta (contenuta nell’atlante Tammar – Luxoro) indica relativamente alla situazione degli spazi litoranei pugliesi adriatici all’inizio del ‘300, un folto gruppo di centri portuali fra cui spiccano, (..), Brandizo (Brindisi), Bari, Barleto (Barletta) e Manfredonia.
Le carte nautiche di P. Vesconte sono utili per un confronto con quelle successive, per osservare i centri costieri emergenti evidenziando la funzione marittima della Puglia.
Così, nella “Dalmacia nova tabula” di G. Gastaldi (1548) la penisola italica (appare) estremamente vuota di centri abitati, caratterizzata a sud della congiungente Roma – Ancona, soltanto dai centri portuali pugliesi, e in particolare salentini di Taranto, Brandiso, Otranto e Galipoli.” (1)
LE TORRI SUL MARE DI BRINDISI
“L’antica Terra d’Otranto, corrispondente all’incirca all’attuale penisola salentina, per sua natura e collocazione geografica è stata da sempre terra di confine, sospesa fra terra e mare; limite, ma anche ponte proteso fra Oriente e Occidente, al centro di un Mediterraneo ricco di storia, culture e popoli.
Il notevole sviluppo costiero pugliese offriva (ed offre ancora) innumerevoli tratti di notevole bellezza naturale e città ed approdi che, se in tempo di pace costituivano basi attivissime di scambi commerciali e culturali, in tempo di guerra erano esposte a continue incursioni dal mare. Testimoni silenziosi della paura che gli assalti nemici dal mare provocavano sono le torri costiere che ancora oggi punteggiano le coste, caratterizzandone il profilo.
La maggior parte delle torri di avvistamento costiere in Puglia, così come nel resto del Regno di Napoli, risale al XVI e XVII secolo, quando la potenza ottomana costituiva un reale pericolo per l’Occidente e per le coste italiane in particolare: agli inizi del ‘600 le torri esistenti in tutto il regno erano circa 360, di cui ben oltre 150 si trovavano lungo le coste pugliesi.” (2)
“La ragione di un così fitto torreggiamento lungo le coste pugliesi è da cercarsi nel fatto che – almeno nei secoli in questione – il pericolo maggiore veniva dall’Oriente, e se pure non era più pensabile che l’Impero Ottomano potesse riprodurre lo sforzo in grazia del quale nel 1480 si era impadronito di Otranto (ma nel 1560 la flotta spagnola era stata disfatta alle Gerbe), covi di corsari si erano stabiliti in Albania, “donde continuamente venivano a depredare lungo la costa meridionale della Puglia, conducendo in schiavitù non poche persone”.
Comprensibile, dunque, l’esigenza di una difesa attestata su più linee, con postazioni costiere contro il pericolo proveniente dal mare e con fortificazioni interne contro le scorrerie di banditi locali e stranieri.” (1)
“I primi a realizzare le torri di difesa furono i romani, cui seguirono i normanni, gli svevi e gli angioini; ma quelle che si vedono oggi non sono quelle torri, ma torri che derivano da una vera e propria fortificazione costiera fatta dagli spagnoli che vi profusero molto denaro e molte vite umane.
I predatori, che fossero saraceni, pirati o turchi, continuarono ad ammazzare le genti salentine fino alla metà del ‘700. Però, fino a quel momento, le nostre genti sono vissute sempre col pericolo che veniva dal mare, ed è per questo che, soprattutto nel XV e XVI secolo si formò una vera e propria cortina di torri costiere. A distanza di 10 chilometri l’una dall’altra proprio per la difesa non solo delle strade litoranee, ma anche dell’interno del Salento, dove cominciavano a nascere le masserie fortificate. Nei casi di emergenza, quando una torre avvistava il nemico, arrivava il battaglione, ossia una milizia territoriale in grado di accorrere velocemente dove approdavano i turchi o i pirati. Il battaglione talvolta era affiancato da una compagnia di cavalieri. Poi, gli alti costi di vite umane e anche di denaro, ammorbidirono le difese. I corsari approdavano e depredavano le nostre coste impunemente, per cui la gente abbandonò le coste e i litorali divennero pieni di macchie e paludi.” (3)
Per il controllo della costa Brindisina furono costruite: Torre Guaceto, Torre Testa, Torre Penna, Torre Cavallo, Torre Mattarelle.
“Le torri, avendo scopo di avvistamento più che difensivo, erano di dimensioni ridotte. La maggior parte era 10 m x 10 m ed aveva forma troncopiramidale munita di caditoie; vi era una cisterna nella quale confluivano attraverso un sistema di canalizzazione, le acque piovane dalla parte superiore, al di sopra della quale vi era un vano alloggio di 5 metri x 5 dotato di camino. Questa stanza era raggiungibile attraverso una scala in legno retraibile. (..)
La costruzione della torre era affidata ad un capomastro con un contratto in cui erano definiti i parametri costruttivi e le modalità di pagamento;
Il costruttore poteva cavare pietre da costruzione e da calce dove voleva e a titolo gratuito: lungo i nostri litorali si notano ancora degli scogli squadrati, tagliati, erano proprio le cave da dove venivano ricavati i blocchi, esempi, a S. Sabina, Torre Guaceto, Punta Penne, la Sciaia.
Veniva imposto di usare acqua dolce, dato che si era osservato che una delle cause del deterioramento era l’utilizzo di acqua e sabbia di mare. Ma molto spesso, furbescamente il capomastro utilizzava l’acqua marina per impastare la malta e questo determinava la rapida erosione delle mura, una delle più frequenti cause della perdita di gran parte di questi monumenti.
A presidiare le torri vi era un “Capo torriere” e tre guardiani. La difesa veniva messa in atto, grazie alle armi da fuoco in dotazione ovvero : smeriglie (cannoni a palle), archibugi, alabarde. La conferma che in tali torri venivano usate le armi da fuoco (oltre che nei documenti storici) è confermata dalla forma quadrangolare necessaria per poter posizionare l’artiglieria sui 4 fronti e dalle caratteristiche delle caditoie (*). La parte superiore era raggiungibile attraverso una scala interna. Ogni accesso era protetto da tre caditoie nelle quali si inseriva un archibugiera.
Quello che vediamo oggi delle torri è solo una parte. In origine erano più alte ed erano circondate da un cortile chiuso, al quale si accedeva attraverso una porta.
In caso di attacco, le segnalazioni venivano fatte con fumo di giorno e fuochi di notte e successivamente con campane e colpi di armi da fuco, permettendo cosi agli abitanti delle masserie fortificate, dei castelli e dei borghi, di prepararsi a respingere l’incursione.” (4)
TORRE TESTA O TORRE DELLE TESTE DI GALLICO
Alcuni hanno ritenuto che il nome gallico sia dovuto proprio alla forma del promontorio, in realtà è più probabile che derivi questo nome da Jaddico che, nella lingua nordica voleva dire bosco e foresta.
“Nelle sue vicinanze trovano sbocco in mare le acque del Canale Giancola, che al di là della Litoranea Brindisi-Apani, si allarga in una superficie o completamente coperta da canneto (phragmites australis) o intervallata da specchi d’acqua più o meno ampi, in relazione all’apporto stagionale di acqua meteorica. (..)
Dalla Litoranea Brindisi-Apani, una strada sterrata conduce lungo il canale e da questa a piedi ci si inoltra all’interno.(..) Il canneto è abbondantemente popolato da Rallidi e da Passeriformi da palude.
Durante il passo migratorio il Canale Giancola offre ristoro e riposo ad Ardeidi (Garzetta, Egretta Garzetta, Airone cenerino, Ardea Cinerea) ed al Falco di Palude. Ai bordi del fragmiteto il terreno umido è ricoperto dal Giunco pungente e dal Giunco nero (..). Qui è significativamente rappresentata la macchia mediterranea (..). Le aree prative. Gli incolti, i coltivi presenti intorno al Canale Giancola costituiscono buoni territori di caccia per rapaci migratori come l’Albanella minore ed il Grillaio.
Tutta la zona non ha mai ricevuto interventi di tutela ambientale, ed è anzi soggetta a forme di degrado come gli incendi, la caccia, lo scarico abusivo di materiale vario, il taglio di arbusti e la cementificazione del tratto terminale del corso d’acqua.” (6)
L’importanza di questa torre era nella sua posizione strategica, in quanto situata alla foce di un fiumiciattolo che, rappresentava per i nemici la possibilità di rifornirsi di acqua dolce.
LE FORNACI ROMANE DI GIANCOLA
Ma è anche per questo motivo che nel II secolo a.C. erano già presenti a Giancola degli insediamenti romani con delle fornaci per la produzione delle anfore, e fu, probabilmente la costruzione della “Via Minucia” che collegava Brindisi con le città dell’Apulia attraverso un tracciato litoraneo,(..) ad aver consentito alla fine del II-inizi del I secolo a.C. “un intenso popolamento formato da villaggi e da importanti centri manifatturieri per la produzione delle anfore, situati nelle vicinanze dei canali Apani e Giancola.” (7)
“Le anfore commerciali prodotte a Brindisi tra II e I secolo a.C. trasportavano l’olio e il vino di quella regione per tutto il Mediterraneo. Le anfore venivano prodotte in grandi impianti di carattere manifatturiero. I siti in località Giancola sono stati scavati negli anni Ottanta del secolo scorso. Le ricerche (..), hanno messo in luce le fornaci e, accanto ad esse, una collina di scarti di produzione, archivio ricchissimo di dati che hanno permesso un approccio integrato tra stratigrafia, tipologia, epigrafia ed archeometria.” (7)
“Il sito delle fornaci è posto a qualche centinaio di metri dall’insenatura di Torre Testa a circa 300 metri dal ciglio dell’alveo del Canale Giancola. Questo corso d’acqua a regime irregolare solca profondamente il banco calcareo prima di sfociare in mare, oggi immediatamente ad Est della Torre, anticamente invece nell’insenatura ad Ovest del piccolo promontorio, attualmente insabbiata.” (7)
“Nella sua fase originaria l’insediamento produttivo, nato principalmente in funzione della produzione di anfore da trasporto, sembra inizialmente prevedere l’allestimento di una grande fornace circolare affiancata da una più piccola struttura, giunta in pessime condizioni con il prefurnio orientato in direzione Nord. (..) All’interno del recinto vengono allestite altre due grandi fornaci di forma rettangolare, affiancate l’una all’altra con orientamento ortogonale alla fornace circolare.” (7).
Nei secoli successivi ci sono state molte variazioni e, infine, l’abbandono.
“Le fornaci di Giancola hanno prodotto, nelle loro diverse fasi di vita, una pluralità di manufatti ceramici. Nella prima e nella seconda fase produttiva le anfore da trasporto hanno certamente rappresentato la produzione prevalente, che nella terza fase sembra invece essere costituita dalla ceramica d’uso comune.” (7). L’esemplare tipico di anfora prodotta nel primo periodo a Giancola aveva “corpo ovoidale, piccolo fondo a bottone, basso collo cilindrico con orlo a fascia ben evidenziato, più o meno espanso e variamente modulato, piccole anse di sezione circolare, subcircolare o ovaleggiante con andamento a quarto di cerchio impostate sotto l’orlo e alla sommità della spalla.” (7)
“L’anfora di Brindisi è ritenuta comunemente olearia anche se si ritiene sia stata utilizzata anche per il trasporto di vino e forse di altre derrate. Lo scavo delle fornaci di Giancola non ha restituito alcun esemplare dei punzoni utilizzati per imprimere i bolli sulle anfore prodotte negli impianti.
L’analisi delle impronte ha permesso, comunque, di risalire all’esistenza di almeno 86 punzoni, individuati sulla base di differenze testuali e formali. Il proprietario degli impianti produttivi è indicato, sempre, con il genitivo gentilizio: Viselli. I due liberi, L. Marcius Satur(ninus) e Cn. Petro(nius) Sostra(atus), principali gestori degli impianti attivi durante la seconda fase, sono indicati con i tre elementi-base della formula onomastica (Praenomen, nomen e cognomen) che, per quanto abbreviati, generano comunque un testo più lungo cui fa riscontro un cartiglio più lungo. .” (7)
“Al successo dell’insediamento di Giancola dovettero contribuire diversi fattori, a partire dalla stessa felice scelta del sito, posto a breve distanza da un grande centro urbano dotato di un porto molto attivo e caratterizzato dalla presenza di un ampio tratto di costa, di un approdo offerto dalla foce di un corso d’acqua consistente, il Canale Giancola, attraversato da una grande arteria, la via Minucia, che divideva in due vasti settori la grande proprietà facente capo a Visellio, facilmente raggiungibile sia via mare che lungo l’arteria stradale. L’acqua era fornita in abbondanza dai pozzi e dal vicino corso d’acqua dalle cui pendici era possibile estrarre argilla di ottima qualità. Il combustibile necessario era garantito dalle ampie aree boschive che ricoprivano i settori dell’agro non ancora messi a coltura. Sul mercato di Brindisi era inoltre possibile rifornirsi con facilità della manodopera schiavile specializzata.” (7)
Torre Testa “attualmente è in uno stato di conservazione pessimo. Sono visibili l’interno voltato a crociera utilizzato per la postazione della guardiania ed all’esterno le imposte delle caditoie. Le pareti sono in tufo carparo fortemente corrose dal mare ma anche asportate dagli uomini. Circa dieci anni fa sono iniziati dei lavori di restauro a cura della Soprintendenza di Bari, poi inspiegabilmente interrotti.” (4)
Così, dopo secoli di dominio sul mare, la torre è in grave pericolo di crollo.
Nel 2010 il Gruppo Archeologico Brindisino si è reso protagonista di alcune iniziative tese a sensibilizzare l’opinione pubblica ed ottenere i primi interventi di manutenzione della torre Testa a Giancola.
Dice il giornale online Brindisireport:
“La pratica era stata istruita nel 2011 per accedere ai fondi assegnati dallo Stato. E il progetto di recupero del Comune di Brindisi era stato ritenuto meritevole di accoglimento dalla presidenza del Consiglio dei Ministri che gestisce l’attribuzione del denaro incassato con le dichiarazioni dei redditi. (..)
L’incubo crisi, l’intervento della Germania, la caduta del governo Berlusconi, lo spread che saliva e la Merkel che incalzava, si insediò l’esecutivo di Mario Monti e un clima di austerity e di tagli disperati, mandarono tutto in aria. Si decise che per il 2012 vi sarebbe stata una gestione differente dei fondi otto per mille.
Poi i termini sono stati riaperti. (..)
Si fa presente che in caso di riproposizione della domanda per l’anno 2013 si può fare riferimento alla documentazione tecnica già presentata in occasione delle annualità 2011 e 2012, ove non siano intervenute modificazioni
E nel 2013? Cosa è accaduto? Va ricordato che all’epoca, quando il progetto fu presentato, il sindaco era Domenico Mennitti e fu il suo vice, Mauro D’Attis a sposare la campagna del Gruppo archeologico brindisino (per porre in sicurezza e restaurare Torre Testa) e individuare quella dell’otto per mille come strada percorribile. I lavori erano già stati consegnati alla ditta “Roma Costruzioni” (che ha proceduto agli indispensabili lavori di puntello a spese del Comune). Il passaggio del testimone (fra vecchia e nuova amministrazione) ha forse poi confuso le acque. Morale della favola, non se n’è fatto più nulla. (5)
Perché? La risposta è nel titolo dell’articolo di Brindisireport: “Una dimenticanza forse, o piuttosto un errore di valutazione (dell’Amministrazione Consales) che fa “saltare” finanziamenti in sostanza già sulla strada per Brindisi: il settore è quello dei beni culturali, i fondi in questione sono quelli dell’otto per mille che avrebbero dovuto essere impiegati per il restauro delle torri costiere.“ (5)
Adesso Torre Testa si regge su una stampella; ma non sappiamo fino a quando!
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Un ringraziamento all’amico Mario Carlucci che ha collaborato con me nella ripresa delle immagini.
Note:
(*) Nell’architettura militare antica, spec. medievale, botola aperta nel pavimento di strutture aggettanti dalla parete esterna di un edificio fortificato, dalla quale era possibile gettare proiettili, pietre o altri materiali sugli assalitori, in modo da impedir loro l’apertura di brecce o la scalata del muro.
Bibliografia e siti web:
“Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica.”
(1) La Puglia e il mare, di Cosimo Damiano Fonseca. Stampato in Italia, copyright 1984 by Electa Editrice Milano.
(2) Dal mare…verso il mare – Coste, masserie e sistemi difensivi costieri nel territorio brindisino. Sentinelle di pietra: le torri costiere nel brindisino di Massimo Cati e Francesca Pontrelli. Edito dal Comune di Brindisi con la collaborazione dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Brindisi.
(3) https://www.youtube.com/watch?v=VLqiluglVe4
(4) www.brindisiweb.it/monumenti/torri_costiere.asp di Gianluca Saponaro
(5) http://www.brindisireport.it/cronaca/torri-costiere-saltano-i-finanziamenti.html
(6) Guida di Brindisi, di Vittoria Ribezzi Petrosillo (Appendice I – Itinerario (IV) Naturalistico lungo la costa brindisina di Paola Pino D’Astore. Congedo editore (Galatina) 1993
(7) Le fornaci romane di Giancola (Brindisi) di D. Manacorda e S. Pallecchi. Edipuglia, Bari 2012.
Grazie per queste belle pagine ricche di informazioni.
sono un vecchio brindisino che da molti anni vive lontano dalla Puglia. Mi chiamo Mario Galasso, ho 73 anni, figlio di Ugo che a suo tempo negli anni 25-35 fece un importante lavoro di ricerca etnografica a Brindisi i cui risultati sono oggi digitalizzati e presso l’Università del Salòento dove esiste un fondo Ugo Galasso (prof Imbriani come riferimento); fece fare inoltre la lampada votiva per la cripta del monumento al marinaio d’Italia lampada di cui non trovo traccia fotografica sulla pagina relativa. Prima che morisse lo registrai nel 1963 e le sue canzoni dialettali sono oggi nella demoteca di S.Cecilia accanto a quelle di Alan Lomax e Diego Carpitella, mie vecchie conoscenze.
Mio zio era Alfredo Galasso, grande poeta brindisino per il quale non c’è bisogno di commenti. Io stesso scrivo poesie in brindisino e alcune sono pubblicate su Brindisiweb http://www.brindisiweb.it/brindisinita/poesie.asp o http://www.pugliantagonista.it/archivio/br_senzamem_p2.htm ecc.
Sono archeologo subacqueo e colgo l’occasione per comunicare che circa 30 anni fa se non di più rinvenni un’anfora brindisina del tipo Prima fase forma 2 di Giancola nella baia di Talamone (Grosseto). Benita Sciarra Bardaro buonanima era mia parente.
Attualmente sono Visiting professor in Storia dell’Archeologia a Firenze (Istituto Internazionale per l’Arte e il Restauro) e mi occupo però anche di altre cose: etnologia ed etnomusicologia (sono l’ultimo musicoterapeuta salentino vivente, così come registrato e schedato all’Università del Salento, e suono musica popolare brindisina con organetti e fisarmoniche, a livello professionale essendo stato borsista a S.Cecilia-Roma per composizione e contrappunto). Sono responsabile di un centro studi e ricerche sulla musica popolare ad Ottana (Nuoro) e vivo ad Alghero e presso Firenze.
Continuate così, il vostro blog è ottimo!
Cordialmente
Mario Galasso
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Gentile Sig. Galasso, sono molto contento che l’articolo sulla Costa Le sia piaciuto e La ringrazio per i complimenti! Sono pieno d’ammirazione per le tante cose che è riuscito a realizzare che denotano un forte attaccamento al territorio e ai suoi usi e costumi. Noto con piacere che ci accomuna l’amore per la nostra bella terra e la volontà di rendere ad essa il giusto merito nella classifica dei posti italiani più belli! Cosa che purtroppo non è facile, vista la difficile congiuntura e i problemi legati all’industrializzazione selvaggia che c’è stata. In ogni caso noi ci metteremo sempre il massimo impegno per la cura e la valorizzazione della città. Sono contento che abbia un tale radicamento con la città, per cui non ho difficoltà a chiedere qualche volta di poter utilizzare i suoi versi e poesie dialettali, anche sul mio blog. Con stima, Francesco Guadalupi.